domenica 7 novembre 2010

Omsa: il caso di una sconfitta evitabile

Effettivamente, al mondo non c'è nulla di più convincente del successo, e niente di più ripugnante, soprattutto per le larghe masse, di una sconfitta
Perché dunque analizziamo una (probabile) sconfitta?
Per trarre un bilancio per le lotte che ci attendono.

Il “caso Omsa”, dopo aver raccolto l'attenzione mediatica, si appresta a finire dimenticato nella galassia delle meteore del passato.Media, che hanno sapientemente orientato l'opinione pubblica alla compassione caritatevole, vomitando la loro ipocrisia in doppiopetto.

Per le operaie Omsa, al contrario, questa vicenda resterà impressa nel tempo.

Così come non si scorderanno, ci auguriamo, del fetore lasciato dagli sciacalli che si sono avvicinati al loro dramma per girargli le spalle e tradire le loro aspettative. Qualcuno potrebbe storcere il naso e tacciarci di pessimismo, qualcun altro potrebbe ricordarci che il 18 novembre ci sarà un incontro tra la regione Emilia Romagna e Romani, il neo-Ministro dello Sviluppo economico.

Ma siamo certi che non cambierà niente, continuerà la commedia che si è trascinata in questi mesi: schernire chi lavora e concedere ciò che vuole a chi sfrutta e punta ad aumentare i suoi profitti delocalizzando.


La sconfitta ormai era nell'aria da tempo.

Sin da quando si ventilava l'ipotesi della riconversione.

Sin da quando i sindacati hanno iniziato a trattare separatamente con il padrone facendo a gara tra chi calava più in basso le braghe.

Si respirava aria di sconfitta, quando le votazioni avvenivano in piazzali ed erano una farsa in cui a votare vinceva chi portava più parenti.

Si respirava aria di sconfitta, ogni volta che si sentiva qualche dirigente aziendale (del presente o del passato) parlare di fronte al picchetto operaio e invece che esser respinto a pedate, lo si accoglieva come interlocutore credibile.

Noi, che abbiamo partecipato alle manifestazioni delle lavoratrici Omsa e abbiamo portato la nostra solidarietà ai picchetti, respiravamo l'aria della sconfitta quando vedevamo i politici locali e nazionali dei partiti borghesi sfilare di fronte alle operaie sullo sfondo delle elezioni regionali ed amministrative.

Per parte nostra, che alle regionali e alle amministrative invitammo all'astensione, prendemmo il caso Omsa di petto nel tentativo di dare un'alternativa nel mezzo di smarrimento e confusionismo.
Nel tentativo di dare un'indicazione d'indipendenza di classe e di radicalità di fronte all'attacco radicale del padronato.

Lo dicemmo chiaramente: siamo di fronte ad una scelta!

Evitare la lotta e lasciarci massacrare, evitando quindi la battaglia frontale, per essere poi sconfitti quotidianamente da un’IMPLACABILE guerra di classe strisciante e non dichiarata, condotta contro di noi lavoratori dal padronato.

OPPURE, possiamo affrontare il nemico, col rischio, sia pure, di essere sconfitti, ma anche con la probabilità, con MOLTE PROBABILITA’, di riuscire vittoriosi, ponendoci così nella condizione di arrestare la decomposizione dell’economia nazionale, costruendo un esempio vittorioso per migliaia di altri lavoratori e iniziando quindi a porre all’ordine del giorno la necessità di un’altra economia e di un altro potere!

Lo dicemmo chiaramente: la soluzione passa dall’occupazione degli stabilimenti

Perché questo era il miglior mezzo per evitare i licenziamenti.

Se le lavoratrici Omsa avessero occupato e bloccato il trasferimento dei macchinari oggi saremmo di fronte ad un altro epilogo.
Sollecitammo la sinistra politica e sindacale a farsi carico dell’istituzione di un fondo di sciopero, una cassa di resistenza operaia, gestito direttamente dalle lavoratrici dell’OMSA.

Sollecitammo l’intera città e tutte le realtà di movimento a costruire una rete di solidarietà attraverso l’indizione di assemblee permanenti di quartiere, sia per rafforzare i picchetti operai che per raccogliere i fondi necessari per supportare una lunga battaglia contro Grassi e la sua cricca.

Non fummo ascoltati, se non da alcune operaie esasperate.

Non fummo ascoltati, nonostante l’impegno militante e l’empatia umana oltre che politica che investimmo in questa vertenza.

La battaglia delle operaie Omsa, per alcuni mesi fu la nostra bandiera.

Ne siamo usciti sconfitti al pari delle operaie Omsa, ed è normale che sia così: un partito dei lavoratori segue i destini della sua classe.

Ma ciò che rimane è una lezione imperitura.

Certo, non si pagano le bollette o l'affitto con la teoria, ma dalle sconfitte bisogna apprendere per evitare che domani siano altri lavoratori a non aver di che pagar l'affitto!
L’esperienza dell’Omsa insegna alla classe operaia nel suo complesso, che è bene innanzitutto NON farsi ammaliare dalle parole vuote dei politicanti di governo, dei parlamentari della finta opposizione (rosso sbiadita, tricolore, viola, o cinque stelle) né tanto meno dagli amministratori locali o dai sindacalisti concertativi.

E’ bene diffidare dai manager aziendali!

Nè credere alle loro rassicurazioni su improbabili riconversioni o altre “panzanate” del genere. Il padronato, detto semplicemente, è nostro nemico!

Ciò che conta, PER DIFENDERE in maniera INTRANSIGENTE i posti di lavoro è la forza dei lavoratori stessi; e la capacità di costruire solidarietà di classe.

E' questa indipendenza di classe che è mancata alla vertenza Omsa spesso controllata da burocrazie sindacali e politiche in combutta col padronato.

Si doveva costruire un fronte combattivo composto da lavoratori salariati, cassintegrati, disoccupati e precari. Si doveva far capire con i blocchi stradali, che quando chiude una fabbrica, MUORE un pezzo di città.

Si doveva far capire che sono i padroni che non possono vivere senza operai, ed è per questo che quando licenziano è solo per aumentare i loro profitti.


Oggi lo sviluppo degli avvenimenti ha fatto sì che anche il più arretrato tra gli operai (PERSINO UN CRUMIRIO) può capire che ci è rimasta solo la lotta.

Perché sono proprio vent’anni di compromessi e concertazione che ci hanno ridotti alla canna del gas!

Coloro che parlano di compromessi e di concertazione.

Coloro che ci hanno detto, e ci dicono, che: “se va bene l’azienda, tutto sommato vanno bene anche i lavoratori”… si sono rivelati per quello che sono: la quinta colonna di Nerino Grassi (padrone della Omsa n.d.r).

Noi sappiamo, sulla nostra pelle, che queste sono solo menzogne, balle colossali, dette al solo scopo di tenerci buoni, ma sappiamo anche, che è possibile scegliere tra la linea politica sindacale di chi ci ha ridotti alla rovina, oppure possiamo intraprendere un’altra strada.

Per quanto ci riguarda, sappiamo che senza una lotta implacabile contro la classe dominante, le conseguenze per noi proletari sono disastrose. Per questo è necessaria una svolta.


Che fare da ora?

E' ora di accelerare la costruzione di un coordinamento nazionale dei lavoratori delle fabbriche in crisi, per unificare la lotta e generalizzare la controffensiva operaia.

Sia noi che le operaie più combattive possiamo dire che siamo stati sconfitti in una battaglia ma non abbiamo perso la guerra contro il capitalismo!

- Boicottiamo le merci di Grassi: Golden Lady, Omsa, SiSi, Filodoro, Philippe Matignon, NY Legs, Hue, Arwa.
- Espropriamo senza indennizzo i terreni e capannoni dell’Omsa in modo da scongiurare una speculazione ulteriore.
- Rivendichiamo che amministrazioni locali, Regione e governo si facciano carico della emergenza Omsa avviando la nazionalizzazione e attraverso l’intervento pubblico si avvii alla ripresa della produzione. Se Grassi se ne è andato, chi sa produrre calze è rimasto!

- Rivendichiamo che amministrazioni locali, Regione e governo impongano al padrone di Omsa il pagamento del danno economico arrecato all’intera comunità faentina.

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